Il poter dare un nome a una qualsiasi cosa ne definisce la possibilità di poterla conoscere, di potersi mettere in relazione con questa e/o di poterla affrontare. Al nuovo nato viene dato un nome con il quale si presenta al mondo, che ne caratterizza la sua unicità e, per certi versi, anche il suo carattere. In ambito medico la diagnosi, e quindi il poter dare un nome e un significato ad una determinata patologia, permette la definizione di un preciso percorso terapeutico. Ogni patologia presenta un nome specifico che definisce il tipo di degenerazione e/o l’organo compromesso, per cui il dire asma o enfisema, esprime due patologie diverse a carico dei polmoni con una sintomatologia non molto dissimile. Nel caso della Fibromialgia più che una compromissione d’organo si intende una raccolta di sintomi. Non è una vera malattia, ma nasce dal bisogno di trovare un Nome per definire una serie di sintomi diversi accomunati da un denominatore comune: un dolore insopportabile. Mi rendo conto che spesso il poter dare un nome alla propria sofferenza è un primo passo per poterlo “accettare”, dando la speranza di una possibile risoluzione: dato un nome al “malfattore”, lo si riconosce e quindi si pensa che possa essere più facile debellarlo.
Ormai numerosi siti si occupano della Fibromialgia ed è stato creato persino un gruppo di condivisione su Facebook. Tutti sono concordi sulla difficoltà di interpretazione dei sintomi e sull’origine multifattoriale. E’ stata descritta per la prima volta dai neurologi Francesi nel 1896, anche se con nomi diversi, e anche Freud vi dedicò la sua attenzione prima di elaborare la teoria psicanalitica. Oggi si cercano ragioni oggettivabili e scientifiche, come la presenza di problemi di disfunzione a carico dei neurotrasmettitori, in particolare dellaserotonina e della noradrenalina. E’ possibile che l’iperattività del Sistema Nervoso Neurovegetativo (una parte del nostro sistema nervoso che controlla con meccanismi riflessi numerosi funzioni dell’organismo tra cui la contrazione dei muscoli, ma anche la sudorazione, la vasodilatazione e la vasocostrizione, ecc.) induca un deficit di irrorazione sanguigna a livello muscolare con insorgenza di dolore, debolezza e tensione1. In altri studi viene presa in considerazione una possibile carenza di Tiamina (vitamina B1) a causa di una disfunzione del trasporto attivo dal sangue nei mitocondri2. Vi sono anche studi che riportano come causa di questa sindrome, una alterazione della fase 4 del sonno (non-REM), oppure la possibilità che abbia un origine di natura infettiva (come ad esempio la malattia di Lyme).
In ogni caso è un problema che presenta una vasta diffusione, addirittura ne è affetta una donna in età fertile su quattro, con sintomi molto diversi, tanto da farla spesso confondere con altre malattie. Il segno clinico tipico della Fibromialgia è la presenza di specifici punti dolorabili (“tender points”) che mostrano una notevole dolorabilità, rispetto alle zone immediatamente adiacenti. Il paziente affetto può sobbalzare o presentare una contrattura dolorosa in seguito alla pressione su punti specifici. Nel 1990 l’Am. Coll. of Rheumatology ha fissato dei criteri diagnostici per la Fibromialgia, secondo i quali la diagnosi di Fibromialgia può essere posta in presenza di dolore diffuso di almeno 11 dei 18 punti dolorosi sopra descritti3. La diagnosi differenziale della Fibromialgia con le possibili altre malattie con cui si può confondere, spesso si ottiene semplicemente per la mancanza di alterazioni riscontrabili attraverso le analisi strumentali. La Medicina Tradizionale si basa su una valutazione della fisicità dell’individuo, spesso anonima e transpersonale, che si può applicare in modo conforme a tutti gli individui che presentano dei sintomi simili, raggruppabili e che allo stesso tempo definisce le diagnosi delle malattie.
Forse, talvolta, potrebbe essere interessante un approccio svolto attraverso una valutazione della corporeità dell’individuo, attraverso una valutazione più individualizzata della fisicità. Merleau Ponty affermava “il corpo è sempre il corpo di qualcuno”; il corpo è anche il risultato dello stabilirsi di una rete di connessioni significative tra quello che possiamo sentire e le emozioni, che si viene a creare fin dalle prime esperienze dell’infante in modo indipendente dal pensiero cosciente, ma che costituisce la base emozionale imprescindibile del pensiero stesso: attraverso il tessuto della corporeità la psiche comprende che il corpo ricorda, gioisce e teme4.
L’idea di voler parlare in questo articolo di una patologia molto controversa nella sua esistenza, seppur abbastanza diffusa come espressione confusa di uno stato di malessere, mi permette di spiegare ulteriormente la diversa chiave di lettura di una malattia attraverso il metodo della complessità in Medicina Omeopatica. Da diversi anni cerco di pormi in quest’ottica, nella creazione di un modello di medicina integrata (anche con l’aiuto di valevoli collaboratori), in cui il vissuto del paziente sia psichico che fisico è riconosciuto nella sua importanza. In tale modello sistemico, i sintomi, che siano emozionali, affettivi, corporei sono potenziali espressioni del disagio della persona nella sua complessità; hanno una loro coerenza non solo fisiopatologica. Il disagio o la patologia interessano tutti i piani dell’essere. Tali piani non sono che i teatri in cui il disagio si manifesta.
La sofferenza per un torto subito, la difficoltà di superare un lutto importante o uno stato di angoscia profondo derivato da un vissuto particolarmente difficile, non è sempre espresso attraverso una verbalizzazione del problema; non sempre siamo in grado di affrontare il disagio e di arrivare ad esprimerlo verbalmente, ma può risultare più facile usare il corpo come mezzo di espressione. Un esempio semplice, potrebbe essere il presentarsi di un bruciore di stomaco in corrispondenza di uno stato ansioso. In questo contesto, in Medicina Omeopatica sono noti dei farmaci/rimedi (se si considera la recente normativa prevista dal Decreto Balduzzi, di cui ho parlato nel precedente articolo) per esprimere questi stati, anche di profonda sofferenza, prevalentemente al livello fisico. Fra questi Colocynthiscome i sali di Megnesio, Graphites e Drosera, sono dei farmaci, in cui i sintomi mentali sono molto poco presenti a favore di una particolare manifestazione rispettivamente a carico: dell’apparato addominale, muscolare, organi di senso, cute e apparato respiratorio. In una valutazione più sistemica della corporeità, i farmaci sopra citati sono un esempio di questa modalità di espressione del malessere legato a un proprio vissuto, non tanto verbalmente quanto attraverso il corpo; attraverso sintomi anche molto invalidanti in realtà espressione loro stato di sofferenza. Pertanto, non è sempre facile dare un senso alla propria sofferenza e, l’incapacità a descriverla, circostanziarla, farsene carico o pensare di poterla condividere verbalmente può spostare verso l’espressione di sintomi fisici come definito nella sedicente Fibromialgia. La corporeità è un luogo dove psiche e fisico si incontrano costantemente per creare, nello spazio di un attimo, una complessissima serie di risposte, che siano di appagamento o di sofferenza, di organizzazione o disorganizzazione, di sentire e di non sentire, tutte variazioni sul tema della partecipazione alla vita. La corporeità è essenzialmente soggettiva rispetto alla fisicità, ancorché parzialmente oggettivabile4. Il voler cercare una spiegazione dei sintomi della Fibromialgia in alterazioni organiche legate a neurotrasmettitori, o attraverso astruse definizioni che tengono conto del tipo di sintomi espressi mi fanno pensare a alla storia sufi in cui si racconta di un uomo che cerca le chiavi sotto a un lampione. Non importa se le chiavi sono state perse poco più in la, ma solo sotto al lampione c’è la luce…
Bibbliografia:
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High-dose thiamine improves the symptoms of fibromyalgia. Costantini A, Pala MI, Tundo S, Matteucci P., BMJ Case Rep. 2013 May 20;2013. pii: bcr2013009019. doi: 10.1136/bcr-2013-009019.
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Harrison: Principi di Madicina Interna. McGraw-Hill Libri Italia. Milano, 1995. Vol II, pag. 1936.
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PRAXIS “Un nuovo metodo in Medicina Omeopatica: la ricerca della coerenza nella manifestazione dei fenomeni clinici”. Massimo Mangialavori, Giovanni Marotta. Matrix Editrice, Vol I e II